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I bambini utilizzano indizi non verbali per apprendere nuove parole dai robot come dalle persone

La ricerca, realizzata da esperti del MIT Media Lab e di due università americane, ha investigato se i robot sociali possano essere usati per trasmettere nuovi termini a bambini in età prescolare. I risultati mostrano che i robot possono trasmettere conoscenze attraverso segnali non verbali (come lo sguardo) in maniera non dissimile da quanto fatto dall’uomo.

Anteprima articolo I bambini utilizzano indizi non verbali per apprendere nuove parole dai robot come dalle persone

 

I social robot sono robot innovativi progettati per costituire relazioni emotivamente significative con le persone, entità sociali “a misura d’uomo” messi al loro servizio per svariate funzioni: come figure di compagnia, riabilitatori, personal trainer, assistenti o tutor dell’apprendimento. Essi, oltre alle caratteristiche tipiche di tutti i robot, possiedono caratteristiche “umanizzanti”: di solito hanno forma umana, condividono con l’interlocutore uno spazio di comunicazione, usano linguaggi non verbali come i gesti e le espressioni emotive facciali, riescono a riconoscere i segnali emotivi dell’interlocutore.

Se iniziano a essere disponibili studi che esaminano gli effetti di robot sociali che fungono da tutor per i ragazzi sull’apprendimento, tra gli esperti sta crescendo interesse attorno allo sviluppo di social robot come compagni di apprendimento dei bambini in età prescolare, dai 3 ai 6 anni. Ci si è posti la domanda: quali sono i meccanismi con cui i bambini apprendono dai social robot? Quali le somiglianze e le differenze rispetto ai processi di apprendimento attivati in presenza di insegnanti umani?

Nello sviluppo cognitivo del bambino, condividere un target visivo rappresenta una strategia essenziale per lo sviluppo della sua cognizione sociale e una potente “ancora” per l’apprendimento. Richiamare lo sguardo del bambino e guidarlo verso un oggetto o un evento condiviso consente al piccolo di comprendere quale evento ha provocato un’emozione nell’altro o generato un effetto, di intuire il fine di un’azione o l’intenzione della persona con cui egli sta comunicando. Diversi studi hanno inoltre confermato che seguire lo sguardo dell’adulto aiuta il bambino ad apprendere i nomi di oggetti sconosciuti associati all’oggetto verso cui è diretto il suo sguardo.

Nello studio i ricercatori hanno investigato se i bambini guidati da tutor robotici utilizzano gli stessi indizi non verbali tipici dei tutor umani per apprendere nuove parole; in particolare, se e come i bambini rispondevano ai tipici segnali non verbali dello sguardo e dell’orientamento corporeo verso un referente non familiare (le immagini di animali non conosciuti) in un compito di apprendimento lessicale.

Hanno partecipato allo studio 36 bambini dai 2 ai 5 anni. Prima della prova il tutor – una ragazza o un piccolo robot sociale - ingaggiava con il bambino una breve conversazione per fare amicizia. Quindi, il tutor invitava il bambino a osservare coppie di immagini di animali. Tutti i bambini sono stati esposti a due sessioni consecutive, una con la ragazza tutor e l’altra con il robot. È stata anche inserita un’altra variabile, la distanza tra le due immagini, per valutare la capacità dei bambini di riconoscere il target indicato dai due diversi tutor: metà del campione ha svolto la prova osservando coppie di immagini accostate tra loro, l’altra metà osservando le immagini su due tablet distanziati. La sequenza dei movimenti, degli sguardi e le parole dei due tutor (umano e robot) erano uguali, grazie al fatto che  i movimenti del robot erano controllati in remoto.

Nella prova, a ogni bambino venivano mostrate coppie di immagini di animali sconosciuti. Per ciascuna coppia il tutor usava segnali oculari e movimenti corporei verso le immagini e verso il bambino, e si rivolgeva ad un’immagine mentre ne diceva il nome. I bambini avrebbero utilizzato lo sguardo e l’orientamento spaziale del robot così come fanno naturalmente con le persone, per apprendere il nome degli animali?

Al termine della fase di apprendimento, infatti, i bambini hanno svolto un test per valutare l’accuratezza della rievocazione dei termini. Dalle analisi è risultato che non c’erano differenze significative se il tutor era la ragazza o il robot. I bambini hanno mostrato simili performance nel test di rievocazione, che il loro maestro per ciascun nome fosse stato un essere umano o un robot. In media i bambini passavano più tempo a osservare il tutor robotico, mentre osservavano per più tempo le immagini se il tutor era una persona. Il dato era stabile a diverse età.

Si è anche scoperto che quando le immagini erano accostate le risposte dei bambini erano paragonabili al caso: i segnali sociali non erano sufficienti, sia che il tutor fosse umano sia che fosse un robot; ciò confermava che a questa età il bambino necessita di segnali spaziali forti, come un movimento evidente del corpo o del capo e l’uso di gesti indicatori, per riconoscere un target nello spazio condiviso.

I risultati hanno confermato che i bambini sono in grado di acquisire nuovi vocaboli in modo naturale da un tutor robotico attraverso i segnali sociali tipici dell’interazione umana. Studi come questi stanno aprendo una nuova frontiera in cui entità tecnologiche si mostrano sempre più in grado di influenzare la dimensione delle relazioni, dello sviluppo delle facoltà umane e della conoscenza.

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