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La fase successiva ha previsto una serie di sfide di fact checking proposte ai team e organizzate in modo progressivo con difficoltà crescente. Si trattava di casi reali di notizie circolate sul web, in vari formati e di diversi argomenti.
La struttura generale del lavoro era la seguente.
1. I gruppi, per ciascuna notizia proposta, avevano un tempo stabilito per analizzare la notizia, condurre ricerche sul web (utilizzando liberamente le informazioni e gli strumenti indicati o seguendo strategie creative) e arrivare a una risposta circa l’affidabilità della notizia.
Nello specifico dovevano:
- esprimere un giudizio sulla veridicità della notizia (vera o fake news)
- portare il maggior numero di argomentazioni valide a supporto del giudizio.
2. Concluso il lavoro dei gruppi, un portavoce per gruppo presentava alla classe i risultati della propria indagine.
3. Dopo il confronto tra i gruppi, il formatore presentava un quadro riassuntivo con funzione di feedback all’esercizio, che riportava gli elementi principali della notizia di cui tenere conto e alcune considerazioni sulla sua affidabilità.
Sfida n.1
Una prima sfida riguardava l’analisi di due post Facebook (per i ragazzi un oggetto non eccessivamente familiare, dal momento che la gran parte di loro oggi non ha un account su Facebook!) apparentemente simili, ma nei quali era possibile trarre indizi utili per scoprire l’attendibilità delle notizie pubblicate.
L’esercizio è stato riadattato dalla guida “Come diventare detective antibufala” di Paolo Attivissimo.
Era possibile giungere velocemente alla risposta corretta (ma non tutti l’hanno trovata!) prestando attenzione ai dettagli e alle differenze tra i due post, aldilà delle somiglianze dovute al formato: si poteva condurre una ricerca partendo dalle immagini (facendo una ricerca per immagini in Google); copiare parte dei titoli sul motore di ricerca per trovare altri riscontri; indagare sulle fonti delle notizie (scritte in piccolo in fondo ai post); o trovare strade più creative, come indagare sulle temperature avute nelle due città nei periodi indicati… per scoprire che la notizia su Venezia è una fake news!
Sfida n.2
Un’esercitazione che ha consentito ai ragazzi di riflettere sull’esistenza dei siti produttori di bufale e sul rapporto tra veridicità di una notizia e qualità della fonte, ha riguardato una notizia piuttosto bizzarra su una donna stipendiata per… “sedere sui divani”. L’articolo conteneva un testo e un video allegato in lingua russa.
In questa sfida ai gruppi sono stati dati due ulteriori strumenti per l’indagine: il servizio web www.whois.com che consente di ottenere informazioni tecniche su un sito (es. il nome di chi ha registrato il dominio), e il servizio Google Traduttore utile per tradurre parti di testo (da copiare nella maschera di traduzione) o interi siti (è sufficiente inserire l’URL della pagina da tradurre e verrà generato il link per accedere alla stessa pagina tradotta in automatico).
L’esercitazione ha permesso agli studenti di conoscere la frequente tattica di camuffamento di siti bufalari che usano nomi simili a quelli di giornali esistenti (in questo caso il “Fatto Quotidaino” al posto del “Fatto Quotidiano”, ma ce ne sono molti che riecheggiano più sottilmente testate ufficiali, come “Tg-news24” al posto di "SkyTg24").
Inoltre, è stato possibile approfondire il processo di indagine attraverso un focus multiplo sui contenuti del testo, l’affidabilità del video, la sua relazione con le informazioni riportate nell’articolo e la qualità della fonte (in questo caso il sito in cui l’articolo era pubblicato).
Ne è risultato che, sebbene la fonte informativa fosse evidentemente non attendibile, non sono stati trovati riscontri sulla falsità della notizia in sé e, anzi, alcuni indizi dall’analisi del sito di informazione russa suggerivano che fosse plausibile: di fronte a casi del genere è saggio sospendere il giudizio e astenersi dal condividere.
Questo esempio ha permesso di soffermarsi sulla complessità che può celarsi dietro una notizia apparentemente scontata, per cui diventa essenziale esercitare il proprio pensiero critico.
Sfida n.3
Una sfida successiva era centrata sull’utilizzo del fotoritocco come strategia per rendere più credibili le false notizie. Sempre più nel web, infatti, si fa affidamento alla comunicazione per immagini in virtù del loro potenziale comunicativo, di immediatezza e nello stimolare reazioni emotive intense rispetto alle notizie con solo testo.
Nel caso specifico delle fake news, fare ricorso alle immagini permette inoltre di aggirare più facilmente gli algoritmi che svolgono analisi automatiche sui contenuti online: questi sistemi sono efficaci nell’analisi dei testi, ma lo sono meno con immagini e video.
È stato presentato il caso di un post che riportava la foto di un presunto terrorista islamico ritratto poche ore dopo l’attentato di Parigi nel Novembre 2015. La foto era ospitata in una pagina social non ufficiale affiliata all’Isis e accompagnata da un breve testo.
Per l’esercitazione è stato indicato un sito, TinEye che consente di svolgere la ricerca inversa di un’immagine. Caricandola dal computer o copiando l’URL nella barra, si può ottenere la cronologia delle pubblicazioni dell’immagine e conoscere la sua storia online: quando è stata pubblicata per la prima volta, su quali siti, se compaiono immagini correlate (es. tramite ritaglio o modificate).
Presentiamo i risultati di TinEye caricando l’immagine del post: ordinando i risultati dai più vecchi (“by oldest”) in fondo alla prima pagina troviamo un articolo di Buzzfeed.com che riporta la modifica alla foto originale e subito sotto la foto originale pubblicata su Twitter (fig. 16); ordinandoli selezionando “most changes” il primo risultato è del blog di Paolo Attivissimo che accosta le due foto (fig. 17).
Anche qui, molti indizi potevano condurre a riconoscere la falsità della notizia: oltre alla ricerca inversa dell’immagine, il ricorso ai siti antibufala conosciuti o l’analisi attenta dei particolari della foto ritoccata (ad esempio la presa nordamericana in un bagno a Parigi è piuttosto sospetta!).
Sfida n.4
Un’ultima sfida interessante, ma che nel laboratorio non è stata sperimentata per limiti di tempo, riguarda il videomontaggio, altra strategia che può accompagnare la produzione di fake news.
Quando vediamo un video a prima vista verosimile, siamo di solito disposti a dargli credibilità come se fossimo testimoni oculari di quell’evento: facciamo fatica ad assumere uno sguardo scettico e a pensare che qualcuno possa aver manomesso il video, ancor più che con un’immagine.
Possiamo far lavorare gli studenti a partire da un video diventato virale qualche anno fa che mostra un’aquila planare sopra un bambino piccolo e artigliarlo nel tentativo di catturarlo. Il video sembra autentico, ma è davvero così? E se non lo è, da cosa lo possiamo intuire?
In questi casi può essere utile svolgere un’analisi dettagliata del video alla ricerca di possibili ritocchi con software disponibili online come questo che permette di rallentare i video fino ai singoli frame.
Anche qui le strade per smascherare la fake news sono tante: scovare gli errori disseminati nel video (alcuni sono riportati nella fig. 21), analizzare l’account YouTube utilizzato per pubblicarlo, fare ricerche con parole chiave sul motore di ricerca, anche per scoprire le origini del video.
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